Storia della moda: una storia d’amore da tutta una vita

storia della moda e del fashion
 

Quando è nata la moda? E il concetto di fashion? Anche se qualcuno si può “scandalizzare”, per migliaia di anni la nostra specie è andata in giro per il mondo completamente nuda.

L’esigenza della specie umana di coprire il corpo ha comunque origini molto antiche. Se vogliamo far incominciare la storia della moda da questo primo passo, possiamo farla risalire al Paleolitico. La nostra specie, sapiens sapiens, comincia la sue evoluzione circa 20.000 anni fa. Verso la fine del Pleistocene gli umani imparano a trattare le pelli degli animali uccisi nella caccia e cominciano ad utilizzarle per ripararsi dal freddo delle incipienti glaciazioni. Il procedimento non è semplice, e per imparare a confezionare abiti decenti bisogna arrivare a circa quarantamila anni fa, epoca in cui compaiono anche i primi aghi da cucitura, ricavati dall’avorio animale.

Ma c’è forse qualche cosa di più poetico e di ancora più antico, nel quale possiamo forse individuare la nostra inclinazione per l’estetica, il nostro andare alla ricerca di qualcosa che non risponda soltanto a delle esigenze “fisiche”, ma anche il nostro desiderio di bellezza, di valore, e il nostro bisogno di rappresentare queste cose.

Sappiamo che già i Neandherthaliani circa 100.000 anni fa si dipingevano il corpo con tinture d’ocra e “decoravano” i defunti con conchiglie e resti animali, prima della sepoltura. Ma sappiamo anche che già 50.000 anni fa i nostri antenati raccoglievano conchiglie ed altri oggetti “inutili” probabilmente soltanto per il piacere di possederli, forse per ricavarci qualche rudimentale monile.

Anche se intendiamo per moda la scelta di un abito particolare, la ricerca di un abbigliamento che abbia una qualche funzione rappresentativa o simbolica (qualcosa di più della semplice esigenza di coprirsi dal freddo) non dobbiamo allontanarci molto dalle epoche precedenti. Nello stesso Paleolitico, con la nascita di gruppi sociali strutturati, nascono le gerarchie, si rendono presenti nuove esigenze, compresa quella di organizzare la vita sociale, compiere riti e di difendersi dai nemici. Ecco che quindi fanno la loro comparsa i primi elementi di caratterizzazione sociale attraverso la rappresentazione esteriore: l’abito e la maschera. Possiamo forse affermare che ci sono i primi segni di quella che in futuro sarà la moda. Le categorie sociali che, con pitture corporali, speciali copricapi, strumenti ed indumenti, cominciano a “scegliere un abbigliamento” , sono in qualche modo individui che esercitano funzioni particolari:

  • i nobili, i dignitari e le persone di potere
  • gli sciamani, gli stregoni e i guaritori (in senso lato, quindi, i religiosi, ovvero coloro che hanno contatti con le forze sconosciute,  gli dei, i defunti)
  • i cacciatori e i guerrieri, che sceglievano indumenti  e mascheramenti capaci di proteggere ma anche di incutere paura all’avversario.

Un passo importante nella storia della moda è sicuramente rappresentato dalle prime realizzazioni di tessitura. Sappiamo che i primi telai compaiono nel neolitico (circa 10000 anni fa)  e sono manufatti molto semplici, realizzati con rami o pali di legno. I fili dell’ordito vengono messi in tensione tramite pesi di pietra o di terracotta. Ma andiamo per ordine e partiamo dal mondo antico e dalle antiche civiltà mesopotamiche.

 

Storia della moda: evoluzione della moda in ogni epoca

 

Abbigliarsi nel mondo antico

Le civiltà mesopotamiche (Sumeri, assiri, Babilonesi) danno un notevole impulso alla tessitura e al confezionamento di abiti, consistenti in tuniche (o tonache).  Agli esordi si tratta di semplici drappi, che migliorano tecnicamente con l’avvicendarsi delle civiltà. Pare che i Sumeri abbiano “inventato” le maniche, ma la tunica sumera viene poi arricchita dagli Assiri anche con una stola. L’abito più in voga nell’epoca era il kandys, una specie di accappatoio con maniche corte e di lunghezza variabile, chiuso sul davanti con una cintura in tessuto.

Dal 1500 al 1000 a.C. oltre alla migliore qualità della tessitura e della cucitura, gli Assiro Babilonesi sviluppano le arti della tintura, della decorazione e del confezionamento di calzari e calzature: semplici ed aperte per il popolo, chiuse ed alte per i nobili. Le donne sposate vengono costrette per legge ad indossare il copricapo, abitudine che rimarrà radicata nei secoli e perdura a tutt’oggi nel Medio Oriente.   

L’espansione della civiltà Persiana è un’altra protagonista nell’evoluzione dell’abbigliamento, mutuando gli usi dei popoli dell’oriente con quelli mesopotamici. Alla lana e al lino aggiungono l’uso della seta.

Una rivoluzione dalla Persia

Con tutta probabilità sono proprio i Persiani a confezionare il primo vero e proprio abito, completo di casacca, pantaloni e cintura.

All’eclettismo dei Persiani si oppone il rigido tradizionalismo degli egizi, la cui civiltà fu incredibilmente longeva (circa quattromila anni!) e il cui abbigliamento non subisce nel corso dei secoli delle grandi variazioni.

Gli egizi ritengono impuri i tessuti di origine animale e confezionano abiti in lino leggero: corti in genere per gli uomini del popolo e lunghi fino a terra per le donne e a volte per l’aristocrazia e i sacerdoti. Le differenti classi sociali non si differenziano per l’abbigliamento ma per l’uso di simboli, copricapi o gioielli rituali (collane, diademi, bracciali, cinture, anelli e cavigliere). Lo sviluppo tecnico comunque porta anche in Egitto l’uso di tessuti colorati e la particolare cura (cosmesi compresa) per la bellezza femminile. La civiltà egizia è rimasta famosa per l’uso del bistro (l’antenato dell’eyeliner e del mascara) e per la bellezza femminile, incarnata simbolicamente dall’affascinante Cleopatra.

Soprattutto grazie ai Fenici, gli scambi commerciali contribuiscono anche alla diffusione e allo scambio di usi e costumi tra i popoli del Mediterraneo. I Fenici tessono e commerciano  il lino, la canapa, il cotone e la lana; Quasi tutti i popoli dell’antichità, pur con alcune differenze, vestono prevalentemente delle tuniche.

Bisogna raggiungere la civiltà cretese (1700- 1400 a.c.) per cominciare a trovare i primi segni di “civetteria” nell’abbigliamento femminile: gli abiti sono lunghi ed affusolati e vengono stretti in vita, le gambe sono coperte da balze. Quando in Europa nel 1700 si diffonderà lo stile neoclassico, gli abiti femminili si ispireranno proprio all’abbigliamento arcaico delle donne cretesi.

Con la Grecia nasce una moderna idea di bellezza

Dalla civiltà cretese e da quella di Micene nasce la civiltà dei Greci, un popolo straordinariamente evoluto, che per primo sviluppa il pensiero logico, la filosofia, l’idea sociale di democrazia. Si comincia ad intendere l’abito come rappresentazione di raffinatezza ed eleganza oltre che di uno status sociale. L’iconografia classica e la cinematografia ci hanno abituati a immaginare i greci vestiti di bianco. E’ vero, il bianco era molto presente ma sappiamo che i Greci usarono anche colori brillanti, in particolare il rosso porpora, il turchino, il verde e l’indaco. Nonostante le possibilità e gli scambi commerciali, gli abiti greci in epoca classica sono semplici ed essenziali.

I vestiti dell’antica Grecia sono infatti prevalentemente fatti da tagli di stoffa di lana rettangolare o di lino che erano fissati alle spalle con spille decorate e cinte con una fascia. Le donne indossano vesti larghe (peplo), gli uomini indossano un mantello (clamide). Entrambi i sessi indossano poi il chitone, un tipo di tunica che arriva alle ginocchia per gli uomini e fino ai piedi per le donne.

Occorre anche tenere conto che, contrariamente agli altri popoli dell’antichità, i greci non intendono coprire la nudità e nascondere il corpo. Al contrario, esaltano la bellezza che il vestito non deve nascondere.  La tunica maschile dei greci (il chitone) era senza maniche. Nel periodo ellenistico, grazie ai contatti con la Persia, la Grecia entra in contatto con la seta. Si può dire che è la civiltà greca a far nascere un’idea di bellezza (femminile e maschile) diciamo “democratica”, dove l’abbigliarsi con decoro non è più soltanto appannaggio dei nobili e delle caste più alte, ma comincia a diffondersi in ampi strati di popolazione.

L’abbigliamento della Grecia classica influenza la storia del fashion

Come ci si vestiva durante l’impero Romano?

La civiltà romana diviene nel corso della storia la più grande e potente e si afferma gradatamente sugli altri popoli. Tutti questi contatti con genti straniere influenza nel tempo l’abbigliamento dei Romani che tuttavia si riferiscono sempre alla Grecia classica come ispirazione per le scelte estetiche.

L’indumento base per i primi romani è la trabea, un ampio mantello costituito da un pezzo di stoffa (la stoffa era preziosa e si preferiva non tagliarla).

Sappiamo per certo che i romani indossano una sorta di intimo (gli indumenta) che per le donne comprende anche una fascia reggi-seno. Gli uomini indossano una o più tuniche sovrapposte, lunghe fino ai piedi, e sopra una toga, cioè un mantello (in genere una pezza intera di stoffa) che si porta appoggiato sul braccio.

L’abbigliamento femminile partie da una specie di sottoveste senza maniche chiamata subucula a cui sovrappongono il supparum, una specie di abito dalla lunghezza variabile che per chiudersi sulle spalle utilizza fibbie o gioielli, talvolta anche di grande valore.

Il guardaroba di una signora o di una giovane patrizia romana prevede anche la stola (una tunica molto ampia e lunga fino a piedi), la recta (una tunica bianca senza maniche) e la palla, un vero e proprio mantello che può coprire anche la testa e che indossano anche gli uomini (pallium).

In epoca romana ogni casa patrizia ha al suo interno uno o più telai per tessitura e i servi necessari per farla funzionare; sappiamo anche che la tessitura è un vero e proprio passatempo anche per le donne della nobiltà e quindi possiamo dire che le matrone romane gareggiano tra loro per realizzare creazioni sempre più accurate.

Sappiamo anche che con l’avvicendarsi degli imperatori si modificano in parte gli stili di abbigliamento. Infatti dopo la dinastia Giulio-Claudia le vesti si arricchiscono per poi tornare più semplici e con meno ostentazione durante la dinastia dei Severi.

A partire dal 230 d.C. l’abbigliamento dei romani risente dell’influsso dei nemici Barbari. Nonostante i contrasti, alcuni usi stranieri cominciano a prendere piede nell’impero; nel terzo secolo si verifica un progressivo spostamento della vita imperiale verso Oriente, a discapito di Roma e delle aree più antiche dell’impero. Un’economia mercantile maggiormente consolidata e maggior scambi culturali spostano la capitale a Costantinopoli. A questo si deve aggiungere che Costantino fu il primo imperatore romano di religione cristiana.

La fine della classicità è un mix di culture

Se da un lato il cristianesimo dell’imperatore Costantino  imponeva abiti sobri e semplici (i primi cristiani vestivano semplici mantelli) i contatti commerciali e culturali con l’oriente stimolavano all’uso di tessuti più ricchi e decorati. Si deve ai Bizantini l’introduzione dei broccati e della loro versione più povera, i tessuti stampati, nati inizialmente proprio per imitare i broccati. A tutto questo bisogna aggiungere la crescente presenza di popolazioni barbare che si insediano progressivamente nelle aree imperiali d’Occidente, imponendo decisamente l’uso di abbigliamenti più “moderni” e funzionali, a cominciare dall’uso delle “braghe” (nate per proteggere dal freddo e dalle lunghe cavalcate) e l’uso di vari tipi di casacche. Contrariamente a quello che comunemente si crede, non tutti i barbari sono ignoranti e incolti. Longobardi, Goti e perfino i Vandali, sono abili artigiani ed orafi, dotati di un notevole senso estetico e tecniche raffinate.

Da questo incontro di culture nasce l‘abbigliamento medioevale. I vestiti femminili si arricchiscono e si impreziosiscono. Naturalmente questo riguarda soltanto le classi più elevate e i nobili, poichè nel medioevo la forbice sociale era molto ampia. I servi della gleba e il popolo vivevano in condizioni di estrema povertà e continuavano ad indossare vestiti semplici e mantelli per coprirsi.

Nel mondo maschile, una sintesi di questo abbigliamento è rappresentata dal saio, un unico indumento derivato dal sagum romano, dotato di maniche e cappuccio, legato in vita con una corda, realizzato in lana o in filati grossolani assai pesanti come la canapa e la tela grezza.

Per coloro che potevano permetterselo, l’abbigliamento maschile era costituito da una camicia ampia (che serviva anche da pigiama durante la notte) e che veniva infilata nei pantaloni, che spesso erano aderenti (come i moderni leggings) e sui quali si indossava una comoda tunica (riservata per lo più agli aristocratici). D’inverno si aumentava la protezione dal freddo con un panciotto che poteva essere realizzato in pelliccia animale o anche in cuoio.

Teodolinda, la prima “top model”

L’abbigliamento femminile era costituito da un camicione semplice e lungo fino ai piedi chiamato interula. Sopra l’interula si indossava una tunica ed in alcuni casi anche una sopraveste senza maniche. Il petto veniva cinto con drappi di mussola o seta (una specie di reggiseno) sotto i quali il vestito cascava dritto fino a terra . Il giro vita non era considerato un punto da evidenziare e non vi erano vestiti femminili stretti in vita.

L’immagine dell’abbigliamento femminile più ricercato è rappresentato dagli abiti della principessa Teodolinda, grande protagonista dell’integrazione fra Longobardi e Romani. Le immagini che la ritraggono ci raccontano la sua sobria eleganza, fatta di abiti decorati riccamente al giro-collo, sopra i quali veniva indossata la dalmatica (una sopraveste decorata) o  un mantello, spesso realizzato nello stesso tessuto del vestito e i cui lembi erano anch’essi finemente decorati.

Secoli bui e l’abbigliamento semplice

I secoli successivi vedono una lenta trasformazione  dei vestimenti, ma fino al 13° secolo l’abbigliamento resta semplice. Una delle novità più rilevanti è la diffusione dei bottoni, che sostituiscono le spille, le fibule e i legacci. I bottoni in qualche forma esistevano già in precedenza, ma l’uso diffuso comincia intorno al 1100: la prima citazione letteraria che parla di bottoni è nella Chanson de Roland (12° secolo). Si migliorano ampiamente le tecniche di tintura e di lavorazione dei tessuti. La ricchezza dell’abbigliamento però deve ancora raggiungere il suo fulgore: i segni di distinzione delle classi elevate sono prevalentemente nei complementi come cinture, gioielli, fibbie e collane.

La moda nel Rinascimento

Il Rinascimento è una vera rivoluzione nel mondo antico. L’Italia è il centro culturale ed artistico più importante del mondo e le nobili famiglie delle grandi corti Italiane (Firenze, Venezia, Roma, Genova, Ferrara, Mantova, Siena, Urbino) dettano legge non soltanto per la potenza economica, l’architettura, le arti e le scienze, ma anche per l’abbigliamento.

Con il formarsi di una nuova classe borghese ricca, la ricercatezza nel vestire e l’esigenza femminile di apparire bella in pubblico si diffondono sempre di più. Le scollature delle donne diventano più ampie, e permettono di mettere in mostra il décolleté. I corsetti diventano aderenti e mettono in evidenza il corpo.

Comincia la diffusione di profumi, cosmetici, tinture per capelli, acconciature ricercate, parrucche e finte trecce. I nobili comunque “fanno tendenza” e spesso viene permesso alle donne borghesi di abbigliarsi come le nobili soltanto se queste lo concedono. Tra le donne più ammirate dell’epoca ricordiamo Caterina Sforza, Isabella D’Este, Vittoria Colonna, Lucrezia Borgia, Caterina de’ Medici, Anna Maria de’ Medici, Bianca Maria Sforza, Maria Beatrice d’Este e Bianca Maria Visconti. Ognuna di loro lascia segni di stile ed è esempio per le scelte del vestire.

C’è una vera passione per i capelli biondi o rossi e per la carnagione bianca, che viene ritenuta un segno di distinzione. Cresce la “civetteria” femminile, mentre gli uomini sembrano più inclini alla sobrietà. I notabili indossano lunghe toghe nere (foderate d’inverno). I lignaggi più alti portano il “cremesino” una toga rossa la cui tintura è ottenuta dal vermiglio della quercia (Kermes vermilio), un insetto proveniente dall’India. Non mancano preziosi mantelli in tessuti pregiati o pelliccia  e cappelli di fetro di varie fogge.

Fino al 17° secolo l’Italia è la maggiore produttrice di di seta d’Europa. L’arte della filatura dei tessuti (lino, canapa) è molto diffusa e si producono anche lane pregiate e panni d’oro. La produzione dei tessuti è affidata ad operatori accreditati presso le corti, riuniti in speciali corporazioni: la Calimala per i produttori di stoffe e la Lana per i filatori.

Nascono nuovi e affascinanti tessuti come i diaspri, i damaschi, i velluti e i broccati. Le decorazioni sono molto ricche e spesso intessute con fili d’oro.

Le possibilità sartoristiche si ampliano con la crescita degli scambi commerciali. In particolare con filati e tessuti provenienti dall’Asia e dai primi commerci europei con l’Africa, in particolare con l’Impero Ashanti fondato alla fine del 1600 (occupava  vaste aree dell’attuale Ghana) che aveva fatto della capitale Kumasi un florido centro di tessitura con un’ampia diffusione. Notevole la produzione cromatica di stoffa stampata con i temi simbolici della cultura Adinkra.

Vestirsi in epoca barocca tra sfarzo e sacrificio

A partire dal 16° secolo l’abbigliamento europeo tende ad arricchirsi. Sia gli abiti maschili che quelli femminili vengono forniti di

legacci, gorgiere e passamanerie. I vestiti femminili delle classi elevate si fanno sfarzosi, ma sembrano ignorare la comodità e la naturalità del corpo (nell’epoca la natura era vista come peccaminosa e selvaggia). Le gonne sono ampie e di tessuti cangianti. I corsetti e i busti stringono la vita e il torace in modo quasi ossessivo, imprigionando anche il seno e sottoponendo le signore delle corti europee a veri e propri sacrifici in nome dell’eleganza. Compaiono gli sbuffi sulle spalle. Le maniche possono essere strette e lunghe fino al polso ma col procedere verso il 1700 si fanno più comode e più corte, spesso orlate con pizzi e merlettature.

Elemento significativo dell’epoca è anche la nascita della faldiglia o guardinfante, quella struttura sottogonna rigida e larga che poi si chiamerà crinolina. Viene dapprima realizzata con tessuti inamidati e più tardi addirittura costituita da cerchi di metallo o stecche di balena. Nata per l’esigenza di proteggere la gravidanza, si sviluppò poi come una vera e propria moda, come testimoniano i ritratti di Maria Antonietta D’Asburgo e Maria Luisa di Borbone.

L’epoca illuministica porta una maggiore razionalità nell’abbigliamento maschile, ma non in ambito femminile, dove trionfa la frivolezza (il regno della razionalità all’epoca non si confaceva al mondo femminile). C’è più borghesia, e quindi non soltanto nobildonne e dame, ma “signore” che hanno una vita mondana in salotti e teatri. Le scollature diventano vistose e nascono ampi soprabiti chiamati andrienne. In generale si afferma la moda dell’abito ampio o “robe volante“, la cui foggia si ispirava al négligé, già comparso alla fine del regno di Luigi 14° (il Re Sole).

La Francia propone anche un’alternativa con l’aggraziato “piece d’estomach”, una specie di pettorina ricamata che chiude l’abito anteriormente e nasconde il sottostante corsetto. Le ampie sopravesti si riducono in aderenti giacche dette “pet en l’air”.

Storia della moda: periodo barocco
L’opulenza di una nobildonna in epoca barocca poteva arrivare a pesare fino a 17 Kg.

La Rivoluzione Francese (anche della moda)

In Francia si prepara un cambiamento epocale che vede la fine della classe privilegiata dei nobili e il trionfo della borghesia. Tra gli enormi cambiamenti legati a questo evento ci fu anche una riviluzione dell’abbigliamento. Le donne francesi fino agli inizi dell’Ottocento furono molto attratte dalle “robe all’anglaise” e dagli abiti “à la polonaise” dove la parte posteriore della sopraveste era divisa in tre sbuffi e annodata in alto con dei cordoncini. A Parigi si opera una vera sintesi dei gusti e delle tendenze dell’epoca, ma alla fine del Settecento, durante la Rivoluzione Francese, la pettorina e la gonna vengono tagliate su un unico pezzo di tessuto: nasce l’Habit-chemise, una prima idea di “vestito” inteso in senso moderno. C’è anche un primo segno di liberazione femminile dai tabù: alcune giovani rivoluzionarie indossano habit-chemise sottili e trasparenti senza busto né sottogonna.

Anche in ambito maschile si va verso una semplificazione ed una maggiore funzionalità. Gli uomini abbandonano i calzoni al ginocchio che hanno caratterizzato le epoche precedenti e indossano finalmente i calzoni lunghi fino al piede. Si afferma l’uso della giacca detta “carmagnola” e in pratica si creano tutti gli elementi che definiscono il classico abito maschile “alla finanziera” che diverrà l’abbigliamento classico della moderna borghesia. I colori si fanno sobri e moderati (chi indossa colori sgargianti è considerato un nemico della Rivoluzione).

Tra Neoclassicismo e Romanticismo

L’Ottocento vede Parigi come il centro del mondo. Nonostante l’Inghilterra sia la più grande potenza economica e il più grande impero esistente, Parigi diviene l’epicentro della vita culturale europea.

Per il mondo femminile trionfa l’habit-chemise (che poi diventerà lo chemisier). Vengono messi in soffitta il busto e il “panier” che disegnavano artificialmente la figura. Le signore preferiscono la semplicità e la verità dell’abito “scamiciato” che già nel 1920 viene ridefinito con gusto neoclassico. Si ispira alle vesti della Grecia antica. Ma per il freddo intenso si ricorreva ad ampi mantelli drappeggiati in morbida lana o a sopravesti di ispirazione inglese come la redingote o lo spencer.

Il Romanticismo introduce alcune bizzarrie come le maniche à gigot (a prosciutto) e verso il 1830 ritornano le gonne ampie e rigionfie, lunghe fino a terra. Sono un segno di distinzione e di pudore. Verso il 1860 le gonne, sempre ampie, sono piatte nella parte anteriore e molto voluminose sulla parte posteriore. Il volume era ottenuto tramite la tournure, una struttura impuntata in alto e formata da appositi anelli. Possiamo ammirare le donne abbigliate “en tournure” nei celebri quadri degli impressionisti.

storia della moda nel neoclassico e romanticismo
La celebre Polonaise indossata delle signore della Belle Epoque
 

La Belle Epoque e la linea a S

Tra la fine dell’Ottocento e lo scoppio della Grande Guerra l’Europa vive l’epoca gloriosa definita Belle Epoque. Trionfa lo stile liberty o Art Nouveau. Per la prima volta la moda si pone l’obiettivo di mettere in risalto il corpo femminile ed esprimere la linea “a S”, ovvero il desiderio di evidenziare il seno e il fondo schiena. I corsetti diventano “anatomici” e accentuano le forme, la vita è sempre stretta e l’abito viene semplificato, costituito da una gonna lunga e da una giacca e confezionato “su misura”. Nasce in questo modo il primo “tailleur“. Con il taglio “su misura” inizia la competizione tra le maison, capaci di confezionare meravigliosi abiti informali per il tempo libero, la vita all’aria aperta con gonne alla caviglia e nastri eleganti intorno alla vita, intorno al collo, nel polsino delle maniche.

la moda durante la belle epoque
La moda della Belle Epoque

E’ in arrivo l’Haute Couture 

La fine dalla prima Guerra Mondiale vede una rinascita del gusto del vestire. La sartoria asseconda un nuovo stile di vita più pratico e più dinamico. La scuola del Bauhaus influenza la cultura estetica europea che scopre la razionalizzazione e la sempliicazione armonica come valori. Il modo di vestire si fa più semplice e più coerente con i cambiamenti in atto.

Storia della moda anni 30

Le grandi maison parigine come Paquin e Doucet, dapprima ancora orientate verso l’opulenza e la decoratività dell’epoca liberty, semplificano e rendono sempre più essenziali i loro modelli, in una vera competizione per le soluzioni innovative. Lo stilista Paul Poiret inizia a proporre abiti semplici, privi di corsetto, casacche, gonne semplici e pantaloni alla turca.

Forte è anche l’influenza nipponica, che crea in Europa uno stile chiamato “Japanisme” , ispirato alle decorazioni dell’estremo oriente e creazioni di forme ispirate al kimono.

 
storia della moda: l'influenza giapponese
Il mito del Giappone influenza la moda ai primi del Novecento
 

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale il look femminile cambia in modo significativo. Le gonne si accorciano e le giovani donne sono dinamiche e spigliate come i maschi. La moda che viene chiamata “à la garconne” prevede proprio capelli corti ed abiti di ispirazione maschile. In questo contesto fa la sua comparsa la prima vera icona della moda, la cui fama e notorietà andranno ben oltre i muri di un atelier di moda. Gabrielle Chanel detta Coco, sa interpretare più di ogni altro le esigenze dell’epoca. Crea vestiti eleganti ma comodi, sa coniugare tessuti e maglierie all’insegna del nuovo stile e crea una griffe che vive ancora oggi.

Vi sono a Parigi altre rilevanti (e per certi versi superiori) maison di haute couture, come Paquin, Lelong o Vionnet, ma Coco fa di sè un personaggio e sa utilizzare abilmente anche i mezzi di comunicazione per aumentare la sua notorietà.

Tra gli interpreti del fashion più celebri dell’epoca bisogna ricordare anche Elsa Schiaparelli che inizia creando abiti sportivi ma estende la sua produzione “colta” ad abiti da sera e di alta moda collaborando con grandi artisti come Salvador Dalì e Alberto Giacometti. Viene attribuita alla Schiaparelli l’invenzione del rosa shocking.

Altro personaggio importante è Cristobal Balenciaga, che viene definito all’epoca “il più moderno” per le sue creazioni innovative e le geniali interpretazioni del classico, di estrema raffinatezza. Raggiunge il massimo del successo negli anni 50 per la straordinaria eleganza che riesce a dare alle forme classiche dell’abito femminile.

Altri nomi come Lanvin e Jean Patou popolano il firmamento di stelle del fashion della prima metà del Novecento.

Rivoluzioni e Ribellioni della moda

Nel dopoguerra la povertà economica e le necessità materiali, unite alla capillare presenza americana, determinano un calo di interesse per l’alta moda. Ci si orienta verso la produzione industriale di impostazione americana, dove non mancano firme e proposte interessanti, seppure basate su un diverso concetto di moda e di bellezza femminile, più standardizzata e più “domestica”.

storia della moda gli anni 40 in america
Le donne americane negli anni Quaranta scelgono abiti pronti di buona fattura

Ma la vecchia Europa è pronta a rimettere in campo un modo di vivere più personale, più intenso, dove nasce una nuova ondata di classe e di stile.

A interpretare questa tendenza fu soprattutto Christian Dior, un altro “gigante” della moda che inventa e promuove abiti dominati dallo stile e dall’eleganza, tanto da imporre il “New Look”. Ecco il nuovo modello di figura femminile a cui le donne devono in qualche modo assomigliare. Forse nasce proprio in quest’epoca questa corsa allo stereotipo che caratterizza tanto l’epoca contemporanea, ma di fatto Dior “inventa” la donna moderna. Il suo celeberrimo tailleur chiamato appunto New Look del 1947, con una giacca bianca a cinque bottoni strettissima in vita, una gonna scura che si allarga in una caduta perfetta fino a metà polpaccio, rimane una delle pagine fondamentali della storia della moda e un simbolo del nuovo stile che sta nascendo.

La classe tra la moda in Francia e Italia

Mentre in Francia dominano griffes molto celebri come Dior e Balenciaga, buona parte del jet set preferisce le meno appariscenti ma ancora più raffinate maison italiane. Non solo le nostre star come Sophia Loren o Gina Lollobrigida, ma anche regine, primedonne e star del cinema hollywoodiano come Ava Gardner, Jackie Kennedy, Soraya imperatrice di Persia, Maria Callas, scelgono lo stile italiano. Tra le firme italiane passate alla storia c’è in primo piano l’Atelier Sorelle Fontana, ma vi furono moltissime sartorie  prestigiose come quella di Emilio Shuberth, di Emilio Pucci e poi Valentino e Cappucci.

Nel febbraio del 1951 con una grandiosa sfilata di circa 200 modelli di firme italiane, nasce a Firenze il Made in Italy: un modo tutto italiano dove l’eleganza coincide con la libertà spigliata. Una garanzia di stile, alta qualità sartoriale fin nel dettaglio, con tessuti raffinati e tagli impeccabili.

Ma in questo periodo la vita pubblica e le serate danzanti non sono più soltanto per le classi più agiate. Il boom economico e il crescente benessere portano sempre più persone a cercare di vestirsi in modo elegante per una vita mondana. Sono gli anni in cui trionfa il pret-à-porter. Dal 1970 gli stilisti di pret-à-porter presentano le loro collezioni due volte l’anno come fa l’haute couture, con sfilate molto glam a Parigi, Milano e a New York, a cui si aggiungono poi anche Londra, Tokio e Firenze.

la moda nel dopoguerra
Il fashion ritorna nell’Europa del dopoguerra

Alternative al fashion: la moda negli anni ’60 e ’70

Una ulteriore e drastica trasformazione nell’abbigliamento del “pubblico” (siamo ormai alla società di massa) avviene alla fine degli anni ’60 con la rivoluzione studentesca. Liberazione sessuale, musica rock, movimenti politici, culturali e spirituali trasformano la gioventù in una nuova classe emergente, portatrice di nuovi simboli e di abbigliamento rivoluzionario. Esplode la moda hippy e folk. In primo piano i “Blue Jeans” ovvero “Blu di Genova”, pantaloni originariamente tratti da un tessuto marinaro ligure. Si cercano abiti che esprimono un dissenso alla società capitalistica: camicioni indiani e indumenti “poveri” e possibilmente molto consumati. Le donne rifiutano la “costrizione” del reggiseno.

la moda negli anni 60
Negli anni 60 e 70 trionfano il pop e il beat

Nel 1964 Mary Quant, una giovane stilista britannica, “inventa” la minigonna, simbolo di disinibizione e libertà senza complessi. A renderla celebre una parrucchiera di 17 anni: Twiggy (fuscello), che apre la strada alle top model-teen ager.

André Courrèges rivendica  il copyright della minigonna ma Mary Quant non alimenta la polemica affermando che “Le vere creatrici della minigonna sono le ragazze che si vedono per strada”

Ma è Yves Saint Laurent il primo stilista a “scandalizzare” il pubblico adottando stili di strada come ispirazioni per l’alta moda. Le celebri top- model dell’epoca come Lauren Hutton, Penelope Tree, Cheryl Tiegs, Veruschka, Jean Shrimpton e Donyale Luna incarnano una nuova idea di femminilità e nuove ricerche di esclusività, perché ormai l’haute couture non è più il vertice della moda, la contaminazione è il nuovo ingrediente progettuale. Fenomeni come il rock, la pop art, il punk, il rap o l’afro diventano ispirazione e oggetto di attenzione da parte degli stilisti di tutto il mondo.

La moda negli anni 70
Anni 70 – Yves Saint Laurent si ispira alle geometrie di Mondrian

Il grande Made in Italy e gli anni ’80

Gli anni 80 vedono l’Italia assoluta protagonista delle sfilate di moda su cui il mondo punta i suoi riflettori. Oltre alle storiche Griffes come quella di Valentino, Gucci e Capucci arrivano altri grandi protagonisti che riportano il Made in Italy alla ribalta. Stilisti come Giorgio Armani e Gianni Versace si affermano in breve tempo come firme di rilevanza internazionale. Ferré, Missoni, Prada, Trussardi, Moschino, Dolce & Gabbana e molti altri divengono punti di riferimento mondiale.

Gli anni ottanta appaiono come un ritorno del glam dopo gli anni sregolati della rivoluzione giovanile. Una nuova generazione di top model si adatta perfettamente al Made in Italy, all’elegante sobrietà di Armani o al versatile rigore di Versace. In particolare sei tra loro, denominate le Big Six per quanto furono richieste e strapagate (Claudia Schiffer, Cindy Crawford, Kate Moss, Linda Evangelista, Naomi Campbell e Christy Turlington), acquisiscono una notorietà straordinaria e una incredibile presenza mediatica.

Come Dior ha influenzato la moda
Lo stile di Dior influenza il fashion design
la moda esclusiva di Mendel
Il fashion esclusivo sopravvive nelle visioni di  J. Mendel

Il corpo come vestito: la moda alla fine del XX secolo

la fine del 20 secolo vede la crisi concettuale del sistema moda così come era concepito. La passione per i marchi e la loro dominanza hanno reso più bassa la soglia critica e la libertà di scelta dei consumatori. C’è una specie di “democratizzazione” dello stile che unisce tutti negli stereotipi. Ci sono però anche aree specifiche di identità giovanili molto differenziate. C’è una specie di emulazione reciproca tra i personaggi di spicco e il loro pubblico (la rockstar Madonna ha dichiarato di aver scelto alcuni abbigliamenti copiando le ragazze di periferia che andavano ai suoi concerti).

la moda negli anni novanta
Gli stili giovanili e stradali fanno moda

Nel contempo la gigantesca industria della moda rivela anche i suoi aspetti negativi nascosti dietro copertine dorate: lo sfruttamento di manodopera di paesi meno sviluppati, l’iper-produzione, l’obbligo a un costante aggiornamento di modelli e tendenze, il deterioramento ambientale, la produzione di tessuti come ad elevato impatto sull’ecosistema. Ecco in sintesi i temi critici di una cultura troppo materialistica e basata sull’apparire. Sti sta definendo una nuova idea del valore. Nascono così le culture del riciclo e del riuso, gli abiti naturali e il recupero di tecnologie produttive arcaiche e super-sostenibili, stilisti che ripropongono il “vintage” recuperato. Trionfano gli stili giovanili legati ai mondi musicali e sportivi. Il concetto di abbigliamento viene esteso anche al corpo, che è “vestito” con tatuaggi e piercing proprio come un abito da esibire in modo permanente. Si individuano continuamente voci nuove e  spazi creativi in un panorama sempre più omologato. Tutte le teenager europee indossano minijeans, tutti i giovani “indossano tatuaggi” e la moda non sembra più ricercare l’individuazione e la singolarità, ma viene usata come un linguaggio per mostrare appartenenze e simboli condivisi tra gruppi specifici. Le nuove tecnologie di e-commerce aprono nuove strade per la commercializzazione all’interno di nicchie di mercato che sono circuiti di persone che condividono gusti e orientamenti.

La moda di oggi: sostenibili e riciclabile
Con il tatuaggio, il corpo diventa un abito permanente
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