Secondo l’Eurostat in Italia quattro laureati su dieci non hanno un lavoro dopo 36 mesi dal conseguimento del titolo.
Le scorse settimane l’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, ha diffuso un nuovo rapporto sulle statistiche occupazionali dei laureati nei 28 Paesi dell’UE. Lo scenario che viene fuori non racconta pressoché nulla di nuovo rispetto alle continue e assodate difficoltà dei laureati italiani ad entrare nel mondo del lavoro. L’aspetto interessante però è che analizzando i dati appare chiara l’origine alla base di questo stallo.
Laureati in Italia: cosa dice l’Eurostat
La statistica mostra l’Italia agli ultimi posti nella classifica dell’Unione per numero di laureati, con solo il 27% della popolazione tra i 30 e 34 anni in possesso di una laurea. Ma non solo. I ragazzi laureati hanno difficoltà a trovare un lavoro ancora dopo 36 mesi dal conseguimento della titolo di studi. La classifica per altro non tiene conto di quei laureati impegnati in master, dottorati o altre lauree. Così se la media europea di occupazione dei laureati è dell’85,5% (con Olanda e Germania che superano il 94%), l’Italia si ferma solo al 62%, penultima e solo prima alla Grecia. Il dato appare ancora più preoccupante se si si pensa che l’Eurostat per la comparazione con gli altri Paesi ha tenuto conto anche di Turchia e Serbia, che fanno comunque meglio di noi. Detto in parole semplici, significa che oggi in Italia quattro laureati su dieci non hanno ancora un lavoro dopo 3 anni dal conseguimento del titolo di studi.Se i laureati sono pochi e allo stesso tempo non trovano lavoro vuol dire che c’è o un problema di qualità della domanda o uno di qualità dell’offerta, o forse entrambi.Di fatto non basta formare un laureato per generare un posto di lavoro, soprattutto se incrociamo i dati con il livello di innovazione delle nostre imprese. In questo modo ci ritroviamo un mercato del lavoro in cui i lavoratori hanno una preparazione al di sopra delle mansioni che saranno costretti a ricoprire. Ecco perché viviamo in un periodo storico in cui c’è una grande richiesta di figure professionali con competenze nell’ambito tecnico, manifatturiero e di cura della persona, ma poi mancano i lavoratori specializzati nelle suddette mansioni e per ricoprire questi ruoli vacanti la domanda e l’offerta finiscono per “accontentarsi” a vicenda. Le aziende assumono personale sovra-qualificato (investendo in risorse comunque non preparate per quello specifico lavoro) e il lavoratore che non vuole rimanere disoccupato deve accettare di svolgere una mansione al di sotto della sue capacità con tutti i disagi morali ed economici che ne derivano.